Lettera 46 Il telefono del vento

Sabato 8 luglio 2023

Franci quanto ti ho pensata.
Quanto ho pensato a tutti quelli che c’erano in quel momento terribile!
Io NON C’ERO.
Ero partita per il Giappone appena una settimana prima, quando nulla faceva prevedere ciò che sarebbe successo di lì a poco.
Capisci, NON C’ERO!
Ed è difficile per me anche solo tentare di spiegare cosa mi si sia scatenato dentro.
PAURA, per i pezzi del mio cuore che non avevo con me.
PAURA, anche per tutti coloro che nemmeno conoscevo.
SENSO DI COLPA, per il mio essere in viaggio a godere di cose belle, senza poter fare nulla.
Quando sono rientrata mi sono resa presto conto che non avrei potuto comunque fare molto.
Ho trovato solo fango, strade ferite a sangue e colline franate. Un paesaggio talmente diverso da quello che avevo lasciato da non riuscire più a riconoscerlo in certi punti.
E poi c’era tanto dolore dentro al cuore di tutti.
Mi ci sono volute settimane intere per poter riscoprire dentro di me le meravigliose sensazioni che il mio viaggio all’altro capo del mondo mi aveva lasciato.
Non ne parlavo con nessuno.
Non mi sembrava giusto mettere in luce spazi di bellezza di fronte a tanto dolore.
Poi piano piano sono riuscita a sentirmi meno in colpa per aver potuto riempire i miei occhi di immagini indimenticabili, mentre l’acqua continuava nella sua opera di distruzione della mia terra.
Così, lentamente, anche le emozioni trattenute hanno fatto capolino.
Non starò qui a tediarti con il resoconto del mio viaggio, non sarebbe cosa utile per farti comprendere pienamente un paese così agli antipodi del nostro.
Non ricordo più se già ti avevo parlato di ciò che mi aveva ispirato questa scelta. Nel dubbio te lo ridico comunque.
Due libri di Laura Imai Messina.
Due luoghi reali, due immagini meravigliose.
L’isola dei battiti del cuore e il telefono del vento.
Non sono poi riuscita a vederli perché lontani dalle rotte classiche di chi affronta per la prima volta un viaggio in Giappone.
Ma non importa, sono serviti per innamorarmi del paese prima ancora di avervi messo piede e so che sono lì e aspettano solo un mio ritorno.
HO PORTATO A CASA CON ME:
– La gentilezza riservata di un popolo,
– Il loro rispetto e la loro educazione in ogni ambito della vita umana,
– I bagni tecnologici e super puliti ovunque,
– La biblioteca di Murakami,
– La puntualità dei treni (e qui la pendolare italiana che è in me ne avrebbe da dire…)
– Le file ordinate per accedervi (e di nuovo taccio…),
– Le geishe incontrate per caso all’improvviso, il loro visi bianchi, il mio stupore,
– La comodità del futon,
– La spiritualità che aleggia nell’aria,
– La sensazione di essere al sicuro anche nel centro di Tokyo all’una di notte,
– Il silenzio sui mezzi pubblici (un po’ come sui nostri treni, insomma, dove si guardano i video senza cuffie già alle sette del mattino),
– Hiroshima, il silenzio, il dolore, la pace nonostante tutto (lo sapevi che un seme di ginkgo biloba sopravvissuto alla bomba ha germogliato a distanza di decenni?),
– I bambini piccoli in divisa che viaggiano soli in metropolitana (ho pensato che da noi non sarebbe immaginabile neppure nei sogni).
Non sono qui a dirti che non esistano problemi in Giappone e che tutto sia rose e fiori.
E poi ci sarebbe da parlarne ancora a lungo.
Quello che voglio farti capire è che si tratta di un luogo in cui vorrò tornare.
Magari in una diversa stagione, per godere della fioritura dei ciliegi o dei colori dell’autunno.
E chissà forse un giorno riuscirò ad afferrare la cornetta del telefono del vento per raccontare com’è ora la mia vita a chi non c’è più.
Per ora ti lascio, ma tanto lo sai che non ti lascio mai davvero.

Ti aspetto.

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