Ho parlato col mostro

-Ho parlato col mostro- disse lei all’improvviso rompendo il silenzio di quel noioso martedì pomeriggio. Sua madre continuò a sparecchiare, rallentando leggermente i movimenti delle mani, inghiottendo la saliva che le era rimasta in bocca, che improvvisamente le sembrò amara.-E cosa gli hai detto?- glielo chiese senza nemmeno guardarla, senza nemmeno darle una chance, come se già sapesse che quel loro parlare doveva per forza essere stato un errore, uno sbaglio.

Non avrebbero dovuto nemmeno incontrarsi secondo lei, almeno non ora, non ancora, non fino a quando lei avesse ancora avuto anche un solo attimo di vita.-Gli ho detto di prendere me- Lo disse tutto d’un fiato la figlia, con lo stesso affanno e lo stesso impegno che avrebbe provato se fosse stata in procinto di fare qualche passo indietro per prendere la rincorsa e poi saltare. Sua madre finalmente alzò lo sguardo e glielo piantò dritto negli occhi, come un pugnale ficcato in fondo: giù, con tutta la lama dentro.-Non credere che lui avrebbe fatto la stessa cosa per te, sei soltanto una stupida, non avresti dovuto intrometterti, saresti dovuta restare al tuo posto, restare zitta-.

Lei lo sapeva che probabilmente non avrebbe dovuto parlargli, ora aveva una figlia e doveva pensare a lei prima di tutto il resto, prima anche di se stessa, e soprattutto prima di lui che per lei era tutto. Ma non ci riusciva, non riusciva nemmeno lontanamente ad immaginare una vita in cui non ci fosse lui lì al suo fianco, a far fronte assieme a lei a una qualsiasi cosa che sarebbe potuta accadere in quella loro banale vita, che era soltanto una vita semplice, di quelle infinitamente comuni, ma che a lei, a loro, alla madre per prima, pareva la vita più importante di tutte, soltanto perché era la loro, era la vita di quelli che sarebbero per sempre stati, anche da vecchi, i suoi bambini.

-E lui cosa ti ha risposto?- riprese il discorso la madre, dopo qualche minuto di turbamento di cui il silenzio si era arrogantemente appropriato –smettila di pulire, metti giù quegli stracci: ma cosa ti è venuto in mente? Ma cosa diavolo hai fatto?- Lei in realtà non ricordava le parole, avrebbe potuto riportare a grandi linee una imprevedibile conversazione, ma non era più sicura di niente, nemmeno di quello che sapeva a memoria, e alla fine il discorso sarebbe stato cambiato e la madre sarebbe stata capace, come suo solito, di ingigantirlo, farcirlo, variarlo e trasformarlo ancora, e poi ancora e allora lei le disse soltanto –Non ha risposto niente, ha soltanto sorriso-.

Quel sorriso poteva essere interpretato in tanti modi, lo sapevano entrambe, ma entrambe sapevano che non aveva bisogno di troppe interpretazioni, ne sarebbe bastata una, una sola avrebbe dato a tutti un po’ di respiro, ma non poteva essere, non lo sarebbe stato.

-Lo sai vero che lui non avrebbe mai offerto se stesso al tuo posto? Lui ora ha altre priorità, ha delle priorità concrete, come del resto dovresti avere tu!- non aggiunse altro la madre, si rimise a sistemare casa: i piatti, i tegami, le posate, le briciole, le mappe, le carte e gli scacchi… e pure la figlia riprese in mano gli stracci e continuò a pulire quel vetro che era lindo, splendente e non avrebbe avuto bisogno di nessun’altra cura.

Sì lei lo sapeva che lui non avrebbe preso il suo posto, se la situazione fosse stata contraria, ed era proprio per quello che si era offerta, perché sapeva che lui sarebbe stato più forte, avrebbe affrontato, accettato, addomesticato la sua assenza e, in qualche modo, anche senza di lei, avrebbe continuato a vivere, badando ad entrambi i bimbetti, proteggendoli, facendoli crescere come fratelli.

Mentre lei no, lei non avrebbe potuto e già aveva studiato il modo giusto per restare con lui, al suo fianco, accompagnarlo in quel’altrove dove nessun vivo era mai stato. Avrebbe scelto del paracetamolo, lo avrebbe assunto in grandi quantità, ed il mostro, a quel punto, non avrebbe preso soltanto lui, avrebbe preso pure lei; sarebbero fuggiti via entrambi, scendendo giù lungo quello scivolo blu, che fa ruotare gli occhi e spegnere i cuori.

Non riusciva a pensare ai murgaglietti, non li vedeva proprio, non riusciva a farsi forza per proteggere loro, per restargli accanto: lei non sarebbe stata utile a nulla senza lui… Li conosceva appena quei bambini, non avevano ancora abbastanza spazio nel suo cuore, erano importanti sì, probabilmente avrebbe offerto se stessa al mostro anche al posto loro, ma senza lui di loro non le importava abbastanza, quella vita del resto non avrebbe più avuto il senso che lei e lui le avevano sempre dato per tutto il tempo passato assieme.

La madre, che continuava a spostare cose per poi rimetterle nella stessa posizione, non faceva che viaggiare, sempre negativa e pessimista nel momento delle attese, col suo cervello da donna forte. Lei che sapeva essere fortissima nel momento del bisogno, stavolta proprio non riusciva.

Aveva appena portato in salvo un figlio, il mostro le aveva detto che lo avrebbe risparmiato, e lei l’aveva persino ringraziato l’ultima volta che avevano parlato… sì perché anche lei gli aveva parlato, senza dirlo alla figlia ovviamente, forse sarebbe stato opportuno che pure la figlia avesse evitato di condividere questa informazione pesante: sarebbe stato giusto tenergliela nascosta…

Probabilmente, pensava la madre a questo punto, il mostro si sarebbe in realtà preso la figlia, probabilmente aveva accettato quel baratto, dopo aver rifiutato quello che lei gli aveva proposto cento, mille volte, perché anche lei gli aveva offerto la propria vita, era sua madre, era il suo compito proteggerlo, ma il mostro non aveva sorriso, con lei era stato sarcastico, ironico, arrogante infine, le aveva persino chiesto se stesse scherzando: come poteva pensare che il mostro rinunciasse a lui, per prendere lei: magra, secca, tutta pelle ed ossa…

Che assurdità essere qui adesso in questa cucina… la madre non poteva credere che il mondo non fosse ancora esploso. Tutto restava uguale, anonimo, tranquillo… una figlia per un figlio, o come sosteneva la figlia, soltanto lei invece che entrambi.

La madre si sentiva addosso una gran rabbia, si sentiva in colpa per non averla fermata, non le aveva impedito di offrirsi ed ora non avrebbe potuto far nulla per rimediare, non sapeva tornare indietro nel tempo, mentre sapeva senz’altro che non avrebbe potuto nulla contro il mostro, che senz’altro non avrebbe accettato un altro scambio. Mentre sistemava le ultime cose iniziarono ad uscirle frasi a caso dalla bocca, vomitate direttamente dallo stomaco, insulti verso la figlia, mescolati a cattiveria e dolore, odio e malessere, impotenza e rassegnazione.

La figlia improvvisamente l’abbracciò, senza rispondere a quelle parole che l’offendevano, la ferivano e la straziavano, non aveva voglia di litigare, non più, era stanca, avevano discusso tutta la vita –Mi arrendo mamma, mi arrendo, continua pure a ferirmi ad insultarmi, oramai ho fatto la mia scelta ed ora non sento più niente- soltanto allora la madre smise di parlare, guardò la figlia con amore e, mettendo da parte delusione, tristezza, sensi di colpa e disprezzo, si fece abbracciare stringendo forte i denti… a quel punto la figlia le chiese –Andrà tutto bene?-

-Certo!- rispose le madre anche se sapevano entrambe che non sarebbe stato così.

FINE

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