Singer

“12 agosto 1851, Isaac Merrit Singer deposita il brevetto per la prima macchina per cucire con marchio Singer”Nel mio viaggio verso il treno la radio passa improvvisamente questa notizia. La mia maledetta (benedetta?) emotività mi travolge con violenza. Devo fare attenzione, sto guidando.
Non posso permettere al tuo ricordo di riemergere proprio ora. Mi conosco fin troppo bene, avrebbe la forma di una diga che non regge il peso dell’acqua che dovrebbe sopportare.
Mi concentro per distrarmi sul tentativo di ricordare dove tu tenessi la tua macchina da cucire, prima che occupasse il posto della scrivania nella mia cameretta di bambina.
E mi preoccupo per questo vuoto di fronte ad una immagine di te che mi accompagna da sempre. Forse semplicemente la riponevi ogni volta, oppure era posizionata nell’ingresso vicino alla poltrona della nonna.
In ogni caso, a partire da un certo momento della vita in poi, che coincide esattamente con quello in cui improvvisamente non sono stata più la “tua bambina” la macchina Singer ha occupato il proprio posto e lo ha conservato per almeno 30 anni.
Ed era lì che ti trovavo ogni sera, fino a quando gli occhi te lo hanno permesso.
Le tue mani abili accarezzavano la stoffa accompagnandola con eleganza. Una specie di danza la tua grazie alla quale, muovendola con i passi giusti, ottenevi da lei ciò che volevi.
Ricordo il tuo muto rimprovero. Non ho mai avuto tempo o voglia di imparare quest’arte da te. Troppo impaziente di vivere, troppo smaniosa, troppo vivace la farfalla che mi volava in testa.
E non posso dimenticare i tuoi occhi belli velati di lacrime quando hai iniziato ad accorgerti che non riuscivi più a “mettere su il filo”. Rivedo l’insofferenza con cui a turno ci chiedevi di farlo e la mia incapacità che prima ti innervosiva e poi ti faceva ridere. Ma ridevi solo per poco, perché poi tornavi ad incupirti. Era la tua vita, il tuo lavoro, il tuo passatempo, ciò che avevi fatto fin da bambina.
Era il motivo per cui la nonna aveva smesso di mandarti a scuola, anche se eri tanto brava.
Conservo dentro ai miei occhi i tuoi sguardi sempre più tristi e alla fine disperati mentre tu non volevi arrenderti e ti aggrappavi con forza al tuo magico “filino di luce”. Poi la macchina da cucire è scomparsa. L’avevi così tanto curata e coccolata e ad un certo punto non c’è stata più. Ed io non ho avuto neppure il tempo di pensare a dove fosse finita, perché l’unica cosa importante era occuparmi di te.
L’ho trovata in garage qualche tempo fa. Verrà con me. Chissà mamma, forse potrei anche stupirti e imparare ad usarla. Che dici, sono ancora in tempo per rimediare? Vorrei promettertelo, ma ho paura di non saper mantenere l’impegno. Posso solo dirti che manchi.
Manchi a volte così forte che si ferma il respiro. Come ora, mentre sto scrivendo di te sul treno e cerco di ricacciare indietro le lacrime. Devo trovare il modo di non far cedere la mia diga.
Per farlo penso a me come se stessi entrando nella tua camera.
Ti guardo, sei concentrata e per un momento mi pari serena, chissà a cosa stai pensando.
Non c’è bisogno di dire niente. Mi senti, mi hai sempre sentita. Allora ti volti verso di me e io continuo a guardarti in silenzio, ti osservo a lungo, il tuo vestito semplice, le tue mani e il viso finalmente sereno che non vorrei smettere mai di guardare.
Aiutami a non dimenticare nulla.

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