Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo

Cecità” è un potente romanzo dell’autore portoghese Josè Saramago, ambientato in un “non luogo”. Ci troviamo infatti in una città qualunque, di un paese qualunque.

Un guidatore è fermo ad un semaforo rosso quando si accorge improvvisamente di non vedere più nulla se non il colore bianco che avvolge ogni cosa. Spera si tratti di un disturbo passeggero, ma ciò che gli viene diagnosticato in realtà è una sconosciuta forma di cecità definita “mal bianco” per il suo potere di rendere tutto lattiginoso.

La cecità del singolo diviene in breve un’epidemia che si diffonde rapidamente, colpendo la popolazione in maniera casuale. Coloro che non sono stati contagiati decidono così di difendersi rinchiudendo i malati in un ex manicomio dove questi si trovano a vivere nel più disperato abbruttimento, a testimonianza dell’orrore che può scaturire dalla paura. Eppure anche in questa isola assurda di violenza e disperazione fiorisce un gesto d’amore, quello di una donna che si finge cieca pur di non perdere le tracce dell’uomo che ama. Un gesto il suo che diviene speranza e salvezza.

Ho imparato ad amare Josè Saramago moltissimi anni fa in preparazione di un viaggio itinerante in Portogallo e ho voluto iniziare a rileggere i suoi romanzi in previsione di una prossima visita a Lisbona. L’autore, scomparso nel 2010, che aveva ricevuto nel 1998 il Premio Nobel per la Letteratura, ci trascina con la sua scrittura particolarissima all’interno di un inquietante scenario apocalittico dal quale si può tentare di uscire solo grazie ai sentimenti più puri.

“Secondo me non siamo diventati ciechi. Secondo me lo siamo. Ciechi che vedono. Ciechi che pur vedendo, non vedono”.

Cecità / José Saramago / Universale Economica Feltrinelli / 288 pagine

 

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