Ma è una storia d’amore?

Ho pensato di scrivere di te oggi, per dirti tutto quello che ho da dire, seguendo gli appunti che nell’ultimo periodo mi sono presa. Volevo iniziare a scrivere già ieri, ma hai deciso di bloccarmi per le mani e di non permettermi di farlo; lo faccio adesso, nel giorno dell’amore, visto che sei distratta e hai deciso di lasciarmi stare.

Ci frequentiamo da molti anni ormai, pensandoci bene la prima volta che ti ho vista non avevo nemmeno compiuto trent’anni, ci siamo guardate da lontano, ogni tanto ci siamo avvicinate, per poi perderci per quasi tre anni, senza vederci praticamente più…

La nostra relazione stabile è cominciata da quasi cinque anni, le cose sono partite come per tutti, con quella tensione, fatica e diffidenza degli esordi, di quando si prova a trovare un incastro tra due entità formate, adulte, che ormai hanno già una vita loro e mescolarla con quella di qualcun’altro è davvero complicato. Come dice la mia migliore amica far durare una storia è un gran casino ai giorni nostri, perché la gente si arrende facile e con l’idea del “non accontentarsi mai”decide di buttare via le relazioni così come fa con la spazzatura. Ma lei sostiene sia ancora più difficile farle cominciare le storie oggi. Iniziare una relazione è la parte veramente complicata, perché siamo tutti abituati a fare quello che ci pare, siamo tutti indipendenti, uomini e donne senza distinzione, nessuno vuole rinunciare a qualcosa, o adattarsi ad altri che finiscono con lo scandire tempi, esigere presenza e pretendere cambiamenti.

E insomma TU sei entrata nella mia vita come un uragano, io che non mi sono mai fatta controllare da nessuno, io che ero libera, che me ne ero andata via di casa appena potuto per poter fare, come tutti, quello che volevo. E gli uomini che mi sono scelta in questa vita, sono stati dei bravi ragazzi che, grazie a Dio, non mi hanno mai trattata male, mai proibito niente, mai limitata… e poi sei arrivata tu, e hai mandato a puttane tutto quello che avevo definito, quello che avevo programmato e scelto.

Da me hai preteso cose che nessuno aveva preteso mai, mi hai portato via le mie certezze, hai modificato il mio modo di pensare, mi hai proibito di rimanere ciò che ero e l’hai fatto senza chiedere, hai sempre e solo preteso, mi hai obbligata senza permettermi di rinunciare, senza chiedere il mio parere, ed io non potuto oppormi: debole, succube e sempre più fragile, mi sono seduta e ti ho lasciata fare.

Non mi hai permesso di uscire per un po’, mi hai proibito di sorridere, non mi hai concesso di distrarmi e poi mi hai legata a te, facendo di me un ostaggio! Mi hai proibito la pallavolo, mi hai proibito di sedermi a gambe incrociate, di mettermi a “covaccino”, e non volevi tenessi il mento appoggiato sul palmo della mano perché è maleducazione, e non volevi che facessi sforzi, che mi mettessi in pericolo, che sollevassi pesi. Non mi permettevi nemmeno di aprire una bottiglia di acqua da sola, una bottiglia di latte, un barattolo di marmellata (anche se era già stato aperto in precedenza), di aprire una scatoletta di tonno, di mettermi ai piedi un paio di all star…

Qualche volta hanno dovuto vestirmi gli altri per colpa tua, che non mi facevi sentire più abile per farlo da sola; una mia amica ha dovuto mettermi i calzini più di una volta, perché tu, ostinata e arrogante, non me lo permettevi e saltellavi da una parte all’altra, da un gomito a una spalla, da un ginocchio a una caviglia, prima gli arti di destra e poi ripiegavi verso quelli di sinistra.

Quante risate ti sei fatta? Dimmelo ti prego fammi capire… ridevi di me e di tutta quella gente che voleva dirmi come fare ad affrontarti. E mentre mi consigliavano l’osteopata e successivamente l’ago puntura, poi le terme, gli impacchi d’argilla, la dieta sfiammante, le onde d’urto, le infiltrazioni e un po’ di fisioterapia… tu giù a ridere come una disperata, con gli occhi del diavolo e la lingua biforcuta. Loro non ti potevano sentire, ma io me ne accorgevo: ridevi di loro, ridevi di me perché un po’ alle loro chiacchiere ci credevo. E giù di aghi, a denti stretti, macchinari e posizioni strane, tentativi vani e sogni infranti, un susseguirsi di buchi nell’acqua, speranze soffocate e ancora pianti.

Quante volte mio fratello ha dovuto consolarmi e massaggiarmi per permettermi di far fronte al male che mi avevi inflitto?!?! Non so più dirlo, ho perso il conto.

Ma la cosa peggiore di tutte è che la gente non mi capiva e pensava fingessi, non poteva accettare né immaginare che per poter alzarmi dal letto dovessi reggermi e aiutarmi con le braccia, non riusciva a concepire che per uscire dall’auto dovessi farmi spingere o tirare; non riuscivano ad elaborare che a volte non riuscissi proprio a camminare, né ad appoggiare quei piedi a terra, gli stessi che avevo usato fino a poco tempo prima per correre, saltare e ballare.

Persino mia madre non poteva credere che mi facessi sottomettere così da te, che te lo permettessi, non pensava fosse vero che non riuscissi più a reggere nemmeno un bicchiere con una sola mano perché le cose mi cadevano, anche quelle leggere, anche quelle che non potevo credere nemmeno io di non riuscire a trattenere: “non fare la malata”, mi disse d’istinto un giorno, ma io ero malata di TE e lo ero per davvero, e non potevo più fingere il contrario.

Quando ho iniziato a scusarti, con gli altri è stato ancora più complicato: mi vietavi i tacchi, ed io dicevo che tanto potevo vivere anche senza; mi vietavi il palleggio, ma tanto io preferivo giocarla di bagher; mi impedivi di guidare, ma tanto io quella sera volevo bere; mi impedivi di uscire, ma tanto non avevo più niente da vedere…

Ed è arrivato anche il tempo in cui ti ho odiata immensamente e ho odiato me stessa perché, nelle notti di maggior dolore, ho desiderato persino di morire…

E poi ho cambiato strategia e per liberarmi di te ho decido di farmi benedire, pregando che qualcuno mi salvasse, di te si sbarazzasse e ti facesse smettere di darmi sofferenza. Ma il prete mi ha guardata e ha visto nei miei occhi la tua ombra e ha capito che non mi avresti più lasciata. Così, invece di chiedere a Lui per me pace e sollievo, ha ordinato forza, pazienza e tanta capacità di sopportazione.

Col tempo quindi ho dovuto imparare a gestirti, ad accettarti e, visto che sei parte di me, anche ad amarti; ormai mi sei capitata e non posso più allontanarti, né rinnegarti, né vivere senza… e mentre nessuno riesce a concepire che io ti abbia permesso di entrarmi dentro fino alle ossa, finalmente ho iniziato a capirlo, crederlo ed accettarlo io.

E alla fine ho scoperto di non esser sola, perché di gente tu ne hai presa tanta, ed è stata proprio questa la mia fortuna! Quando le persone colpite sono tante, quelle come te vengono studiate di più, ci sono più fondi, più farmaci, più cure e più rimedi. Praticamente solo in Italia si stima tu abbia preso trecentocinquantamila persone! E ho saputo che con me sei stata anche troppo gentile, ti sei presentata stringendomi la mano, mentre con altri sei stata molto più aggressiva; ad alcuni sei addirittura saltata addosso, prendendoli alle spalle, distruggendogli la schiena. Li hai forzati giù, stesi su un letto, senza nemmeno offrirti a loro per fare un po’ l’amore.

Ho deciso allora di farmi forza, di non arrendermi e di rimboccarmi le maniche, ma allo stesso tempo di smetterla di lottare perché la strada giusta con te è assecondarti, seguirti e piegarmi al tuo tocco, senza però farmi spezzare. Ho imparato che se dormo con i pugni chiusi, ad esempio, le mani al mattino fanno meno male, e che se cambio spesso posizione è più difficile farti arrabbiare, avvicinarti e farti scatenare. Ho capito che senza un dito posso vivere facilmente, senza una spalla faccio invece una gran fatica (soprattutto se si tratta di quella destra) e che se mi prendi all’anca non riesco neppure a dormire. Ho imparato a restare a riposo, a non forzare ciò che mi fa male, altrimenti poi la situazione peggiora e, senza ulteriori farmaci, non riesco proprio a sopportarti. Ho imparato a muovermi lenta perché ogni volta che parto veloce ti vedo scattare lesta a rincorrermi; e a non mettere le cose nelle tasche (quelle sui fianchi), altrimenti quando vado a riprenderle, ad afferrarmi ci sei tu… e mi punisci… e mi fai male. Il riscaldamento mi aiuta, anche quando devo soltanto cucinare, lo stretching serve invece solo quando non sei ancora entrata in azione e non ho già addosso il tuo male. Ho capito che un paio di plantari mi supportano e mi fanno stare in piedi per più tempo, che il bite notturno mi rilassa e ti tiene un po’ più lontana e che dovrei andare a vivere in quei posti caldi, con il clima stabile, con 25 gradi fissi, senza mezze stagioni, né umidità.

E ora lo so, dopo aver trovato le mie soluzioni, che tra noi due quella forte sono io. Lo so anche quando piango e mi lamento, anche quando grido e mi contorco, lo so perché sono sempre io anche quando di me ti prendi tutto, anche quando di me non si vede più niente, nemmeno qualcosa che mi somigli appena…

Questa è una storia d’amore: difficile, soffocante e devastante. Ma è la nostra, ce la siamo costruita, è nostra come è nostra questa vita! Amica mia ti perdono, vieni qui, sorridimi, smettiamola di litigare, ormai ci siamo scelte e ci siamo fuse assieme. Sei bella questa sera nella notte dell’amore, vieni ad abbracciarmi, ma ti prego stringi piano e smettila, almeno per un po’, di farmi male…

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