Passi leggeri che non pesano sul cuore

Ogni sera vivo lungo la mia strada verso casa questo momento magico in cui la mia infinita stanchezza non mi impedisce di procedere spedita cercando, esattamente nel seguente ordine, di camminare il più possibile eretta per rilassare il collo, di riempirmi gli occhi della meraviglia di questa mia nuova città e di non cadere inciampando su qualcosa, qualsiasi cosa, come solo io sembro saper fare con tanta facilità.

Tutto ciò richiede grande concentrazione soprattutto perché ciò che mi pesa ogni sera sulle spalle è un carico fatto di pensieri, discorsi incompiuti, sentimenti trattenuti e a tratti incomprensibili, rimpianti per ciò che non ho fatto e qualche senso di colpa, che quello c’è sempre e non guasta mai.Così cammino e mi chiedo se possano essere queste le sensazioni di fine giornata di tutti coloro che incrocio lungo la mia strada. Di loro vedo solo l’incedere sicuro ed il viso per pochi secondi, il tempo di un rapido scambio di sguardi subito distolti per passare oltre. Decisamente troppo poco per scrutarvi dentro alla ricerca dell’essenza.

Perciò continuo a camminare avendo ben chiara la mia meta ed il fortissimo desiderio di raggiungerla. I miei passi sono sicuri e veloci, così come mi paiono esserlo quelli di tutti coloro che riesco a schivare al mio passaggio con grande maestria come se fossi una campionessa di slalom.

Eppure quasi ogni giorno, e quando non accade ne avverto la mancanza, lungo la mia strada in un punto che non è sempre lo stesso ma non si discosta mai di molto, sento di dover abbassare il mio sguardo perché so che sto per incontrare il suo. E’ una ragazzina, solo una ragazzina, o forse semplicemente sembra più piccola della giovane donna che realmente è. Avanza piano sulla sua sedia a rotelle elettrica con scarsa sicurezza, con il viso dipinto del timore di chi non si sente nel posto giusto e non sa esattamente dove sta andando. Il suo sguardo in un certo senso ti chiede scusa, perché lei è perfettamente consapevole del fatto che sta intralciando il passaggio di tutti noi che siamo così bravi a camminare veloci. Nell’attimo esatto in cui mi accorgo di studiarle il volto, i capelli, i vestiti, il peso che mi porto sulle spalle e che alla fine è composto spesso di sentimenti faticosi e inutili, diventa immediatamente più leggero.

Mi dico che devo scaricarmi di tutta quella inutile zavorra perché voglio lasciare posto a lei. Mi rifiuto di tenere dentro di me anche solo un pizzico di malumore, rabbia o qualsiasi altro pensiero negativo, perché io sono qui che cammino eretta, gli occhi al cielo a gustarmi meraviglie e nessuno mi scruta come se fossi un animale esotico piombato per sbaglio in città. Lei invece sembra proprio questo, le gambe e le braccia corte come quelle di una bambina, solo il viso ha le proporzioni giuste e mi sorprendo a pensare ogni volta a quanto grande possa essere il suo bisogno di essere aiutata in ogni più semplice gesto della vita quotidiana. A quanto le deve costare farsi caricare sulla sua sedia per partire alla scoperta della città da sola, apparentemente priva di difese.

Mi commuovo sempre anche se giuro provo a trattenermi, perché peso il suo coraggio e lo confronto con il mio che a volte mi sento a disagio a mostrarmi alla gente solo perché mi scopro un brufolo che non pensavo di avere. E provo una vergogna incredibile per la capacità che abbiamo tutti, me compresa, di commuoverci e basta, di spargere lacrime di fronte ad uno spot televisivo per essere poi invece incapaci di entrare in contatto con la mente e con il corpo di chi è così diverso da noi, senza provare disagio e imbarazzo.

Lei con questi occhi immensi mi insegna questo ogni sera. Poi scivola piano lontano dal mio sguardo, anche se mi sento come se per un attimo ci fossimo comprese e conosciute almeno un po’ e si avventura fra le gambe della gente in corsa che al suo passaggio si scosta guardandola con una compassione che poi spesso temo dimentichi in fretta. Io so che quando non la incontro mi scopro a pensare che mi manca la dolcissima sensazione di poterla caricare sulle mie spalle anche se solo per un breve tratto di Via Indipendenza regalandole così passi leggeri che non pesano sul cuore e farla sentire al sicuro almeno per un po’.

E poi mi vengono in mente le parole di un libro stupendo “Ci sono voluti dodici anni perché Giacomo imparasse a vedere davvero suo fratello, a entrare nel suo mondo. E a lasciare che gli cambiasse la vita”.

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