Maribel

Quando chiudo gli occhi già fatico a ricordare com’era. Tento di concentrarmi sui dettagli e a quel punto perdo di vista l’insieme del viso. Allora provo con la voce, pensando a singole parole, ma poi non riesco a rievocarne l’intonazione né la musica che con grazia sembrava assecondarle.

Forse a poco a poco sbiadiranno anche i ricordi perché il tempo è davvero in grado di confinare il dolore in una parte piccolissima del corpo affinchè questo possa sopravvivere e per farlo non può evitare di lavorare anche su di loro. Molti se ne andranno, o forse è più corretto dire che si addormenteranno solo un po’, pronti a tornare protagonisti al semplice richiamo di un gesto o di un’ immagine.

Poi ci sono quelli che non sbiadiranno mai e sono propri quelli più bravi a rendere il cuore leggero. Il pensiero del mio primo viaggio in un paese così lontano e diverso dal mio è dolce, di una dolcezza autentica e così viva da riempirmi il cuore a ogni battito.

Io così giovane e immersa in una cultura a me totalmente estranea non avevo paura. Ero circondata dall’amore e mi sentivo protetta. Il ricordo porta con sé tutte le emozioni che mi colpivano ad ogni passo, ad ogni sguardo. Riuscivo quasi a riconoscere la potenza della natura e sentivo di essere più vicina al cielo di quanto non fossi mai stata, così vicina da ricevere in regalo il volo di un condor accanto al viso quasi fosse il semplice battito di ali di una farfalla. E mentre mi trovavo in alto, su quella che mi sembrava davvero la cima del mondo, avevo avvertito la forte consapevolezza che difficilmente un’altra emozione avrebbe potuto superare quella che stavo vivendo, anche se io ero ancora solo un’impronta di ciò che sarei diventata e non avevo idea di cosa la vita avesse in serbo per me.

E invece quell’emozione era arrivata, con le sembianze di una bambina che aveva rapito in un istante i nostri cuori, il mio e quello della mamma che sono certa, se avesse potuto l’avrebbe portata a casa con sé. Ciò che rende incredibile quell’incontro è che io non avevo provato alcun tipo di gelosia nello scorgere la magia nei loro occhi che si esploravano.

Quelli della mamma erano diventati ancora più verdi e splendenti e questo era ciò che importava. Il ricordo è dolce e io so che stavo respirando aria di infinito. E invece ora sono di nuovo là di notte, ma non respiro. E’ iniziato tutto molti anni fa e da allora non ha mai avuto fine. Un sogno ricorrente e vivido, sempre molto simile a se stesso nei suoi elementi principali. Il lago, una piccola casa, la fatica, il cancello di legno che cigola aprendosi e un cortile polveroso. Entro piano, come se già sapessi cosa troverò all’interno e la prima cosa che vedo è la gabbia con il suo uccellino. Sento voci e rumori, sto per pronunciare il suo nome ma mi manca improvvisamente il respiro e ogni volta mi sveglio ansimante e ricoperta di sudore freddo.

E’ difficile districare il groviglio di emozioni che accompagna questo sogno e ancora più quelle che alla fine lascia dentro di me. Una grande calma alla vista del lago, poi un’immensa fatica che mi spinge a tornare sui miei passi. Ancora dolcezza e nostalgia per l’immensa voglia di rivederla e infine questa sensazione di soffocare non appena provo a chiamare il suo nome.

Sono passati molti anni, ero una giovanissima adolescente che in fondo avrebbe voluto essere altrove con le amiche, ma la sensazione del suo corpicino caldo contro il mio non l’ho mai dimenticata. Piccola, i vestiti logori e il musetto sporco. Povera e felice del suo niente. Una molletta legata a un filo per giocare con il suo gatto. La sua espressione birichina mentre si voltava curiosa a scrutare la mamma che arrancava senza respiro verso la sommità dell’isola era uno spettacolo impagabile. Il suo visino cotto dal sole si apriva in un sorriso grande mentre le chiedeva “bien?”. A volte la mamma non aveva neppure la forza di rispondere. Allora sorrideva solamente, ma si capiva che avrebbe voluto correre da lei e mangiarsela di baci, se solo ne avesse avuto la forza.

Credo di poter dire che sia stato proprio quello il momento in cui avremmo dovuto capire che qualcosa in lei non andava. E non mi serve un esperto di sogni per capire perché soffoco al ricordo. Avevo promesso che sarei tornata. A lei e alla mamma. E prima che il sogno diventi un incubo ho deciso di affrontare questo viaggio, sento di doverglielo. Il tragitto in barca verso l’Isola di Taquile è affascinante, proprio come ricordavo. Riesco a stupirmi come allora di fronte agli Uros che offrono fieri i loro prodotti e intonano canti. Vorrei riuscire a godermi di più il paesaggio ma questo sole che batte inesorabile non fa che aumentare il mal di testa che fin dall’arrivo in questo paese non mi hai abbandonato neppure per un attimo. Ora finalmente riesco a capire come poteva sentirsi lei. Dal porto ha inizio la salita verso la casa, io potrei chiudere gli occhi e troverei comunque la strada. Sono poche centinaia di metri, sembra nulla a guardarla se non fosse per l’altitudine che complica molto le cose e mi toglie il respiro.

Il mio cuore batte fortissimo e a tratti irregolare per la tensione, lo sforzo e soprattutto per l’emozione di trovarmi a ripercorrere dopo così tanti anni lo stesso sentiero.

La casa non è cambiata, il profumo del pane di quinoa appena sfornato riempie l’aria e sono identici i suoni che sovrastano il silenzio che sembra essere il vero e incontrastato padrone dell’isola.

Mi avvicino al cancello, è sconnesso e cigola piano mentre lo apro. Il cortile è polveroso e i panni sono stesi ad asciugare con mollette colorate. Faccio appena in tempo ad accorgermi di un gattino nero che cerca il fresco all’interno di un piccolo cono d’ombra quando due piedini curiosi e trotterellanti mi raggiungono. Non può essere lei, non lo è. Ma è una piccola copia identica di lei con il suo visetto paffuto cotto dal sole, un sorriso immenso a illuminare il mondo e due incredibili occhi neri.

Allora mi decido ad alzare lo sguardo e rispondo al suo richiamo. E finalmente la vedo, mi sorride serena, bellissima e giovane.

So di averla resa felice e allora respiro forte perché ora posso farlo. Ho sempre saputo che l’avrei trovata qui, qui dove le avevo promesso che un giorno sarei tornata.

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