La speranza è appesa ad un filo

“Ci racconti una storia?” chiese Filippo quella sera di metà settembre. La zia rimase spiazzata, di solito i bimbi volevano sempre la lettura dello stesso libro, ogni sera, durante la videochiamata di gruppo che facevano proprio prima di dormire. “Vuoi una storia vera? O ne preferisci una inventata?” chiese lei cercando di nascondere l’imbarazzo. Filippo ci pensò un po’ su, era in dubbio, gli piacevano le storie finte, quelle piene di fantasia e di immaginazione, ma anche quelle vere, quelle che ricordassero i nonni e la vita di cui non aveva più memoria… “Scegli tu zia!”.

La zia sorrise, aveva voglia di cantar storie “Che ne pensi se poi alla fine mi dici tu se è reale oppure no?” lo incalzò. “Certo che sì, sono bravo a riconoscere la verità!” disse lui saltellando davanti alla telecamera che lo riprendeva come ogni sera. Anche i suoi due cugini (di fronte agli altri obbiettivi) erano contenti dell’idea, anche se la più piccola non avrebbe assolutamente potuto riconoscere la differenza tra il vero e l’immaginato…

“Ma tu Filippo lo sai che una volta la gente si poteva incontrare in un posto e stare assieme, anche senza un motivo valido e senza un’autocertificazione? E che poteva anche passare il tempo a tavola a chiacchierare con altri, standogli vicino vicino e senza protezioni standard?” chiese lei prima di iniziare…

“E’ già la storia zia o è una specie di prefazione?” chiese lui disorientato “Me lo devi dire tu alla fine…” ammise lei dispiaciuta e stordita per la risposta naturale che però non si aspettava di ricevere… “No zia io di questa cosa non so nulla, faccio solo la seconda elementare: con la storia antica iniziamo in terza”.

Quanto era sveglio quel bambino, pensò lei con il dolore nel cuore, avrebbe voluto abbracciarlo, non si ricordava più quando fosse stata l’ultima volta che lo aveva fatto: probabilmente quando era soltanto un neonato e ancora era una cosa legalmente consentita. Non si erano più visti da circa due anni, da quando le restrizioni erano divenute ancora più forti e severe, dopo che la gente aveva smesso di seguire le istruzioni e aveva cominciato a comportarsi nel modo sbagliato. E così il pericolo di contagio era diventato esagerato e la morte aveva iniziato a portarsi via tutti, senza più badare all’età, alle patologie, al sesso…

“C’era una volta una bambina di nome Cristina che viveva in un paesino, poco distante da dove viviamo noi. Lei, che era sempre triste e mai soddisfatta, andava a scuola tutte le mattine controvoglia…” “Questo è vero! Io lo so che una volta la scuola era un luogo e non la mattinata al computer come facciamo noi ogni giorno” disse Filippo contento ed emozionato. La zia sorrise e continuò “…e sedeva in classe accanto al suo compagno di banco che le regalava ogni giorno una caramella gommosa, che lui comprava al bar insieme alla merenda ogni mattina.” “Cos’è un bar zia?” “E’ uno di quei posti di cui vi parlavo prima, dove la gente poteva incontrarsi e stare insieme anche senza motivi validi, il bar vendeva anche cose da mangiare e da bere e solitamente ce ne era sempre uno accanto ad ogni scuola! Avete altre domande o vado avanti?” restò in silenzio alcuni secondi la zia. “Sedevano proprio vicini vicini, ma lei non se ne era accorta mai, non ci faceva nemmeno caso; ogni tanto i loro gomiti si sfioravano e i due bambini non si chiedevano nemmeno scusa…” “Che schifo” interruppe Maria con gli occhi sbarrati e la bocca storta, lei con i suoi quattro anni e le sue guancette rosse che nessuno aveva mai baciato.

“Ogni pomeriggio Cristina andava a giocare al parco con gli amici” continuò la zia cercando di non dare peso a quell’interruzione che le faceva nascere in gola un grandissimo dispiacere “andava in altalena assieme a loro, si rincorrevano e giocavano a Strega Comanda Colore” “E che roba è?” Chiese Nicola che di anni ne aveva quasi sei. “E’ un gioco! In cui un bambino dice il colore e gli altri lo devono cercare e toccare, senza però farsi toccare/prendere dal bambino che ha comandato il colore, che poi è la strega.” “Questa è fantasia! Vero zia?” chiese Filippo “I bambini non possono toccare gli altri bambini” “Vero” disse la zia a malincuore, pensando che fosse opportuno non svelare troppo di quel passato che probabilmente era giusto non ricordare, per il troppo dolore che l’assenza avrebbe potuto recare “Quindi era falsa anche la storia del gomito zia?” Chiese Maria.

 

“Bambini basta interruzioni, altrimenti questa storia non finisce più e dobbiamo andare a dormire… me lo dite alla fine cosa vi è sembrato vero oppure no. Ok?” I bambini fecero sì con la testa e restarono ad ascoltare “Cristina però non si sentiva mai felice perché avrebbe voluto starsene in casa, a giocare con la PlayStation, invece di essere lì a correre e sudare; non aveva mai voglia di quei giochi faticosi in cui doveva impegnarsi ed essere più veloce degli altri. E soprattutto preferiva non dover aver a che fare direttamente con gli altri, le piaceva di più scrivere loro un messaggio piuttosto che parlargli, preferiva telefonare invece che incontrarli, non aveva voglia di nessuno, di niente e nessuno, la gente le dava proprio un gran fastidio in generale… Sapete: una volta le persone vivevano in modo libero. Potevano uscire senza ragione, anche solo per fare una passeggiata in centro in città; potevano guardare le opere d’arte di persona, non solo tramite uno schermo e pure gli edifici e le costruzioni potevano toccarle con mano, camminarci sotto guardando in alto e non solo in tv… Una volta esistevano dei luoghi tipo bar, ristoranti, enoteche dove ci si incontrava per bere, mangiare e chiacchierare e dove si potevano passare ore senza motivi validi, si poteva stare lì anche senza avere un perché…” “Ma che senso avrebbe stare in un posto senza avere un perché?” “In realtà questa cosa non ce la si chiedeva, la gente si trovava e alla fine era questo il motivo valido e unico, si andava lì per incontrarsi e ci si poteva abbracciare e stringersi la mano…” “Cosa vuol dire abbracciarsi?” chiese Nicola che guardava con gli occhi sognanti dal suo pc portatile. “Vuol dire avvicinarsi a tal punto da far sfiorare la pancia gli uni con gli altri e avvolgersi le braccia l’uno alla schiena dell’altro e stringere forte e sentire l’altro che pure stringe forte più che può…” “Credo di aver visto un cartello che lo vieta…” disse Nicola. “Ma non ci si fa male così?” chiese Filippo a disagio “No era una cosa romantica e tenera! Più che altro, un modo per dirsi ti voglio bene, senza parlare” “Che schifo!” ammise nuovamente Maria che questi discorsi proprio non li poteva capire. “…Ma Cristina questo non lo apprezzava, anzi si sentiva sempre insoddisfatta, non le bastava nulla, avrebbe sempre voluto qualcosa di diverso: un nuovo gioco, un gelato più grande, una piscina in giardino, restare a casa, restare sola, essere altrove… Ma poi un giorno apparve un tizio di nome “Vid Co” che chiuse le scuole, i ristoranti, i musei, i cinema…” “Cos’è un cinema?” “Era un posto dove la gente si ritrovava a vedere tutta lo stesso film, in un’enorme sala buia, seduta in divanetti, con uno schermo gigante e un audio perfetto! …comunque… vi dicevo chiuse i cinema e tutti quei luoghi dove la gente poteva ritrovarsi e stare assieme… Poi si mise a chiudere i parchi, le piazze, nemmeno al mare si poteva più andare. E Cristina iniziò a rendersi conto che qualcosa qua e là a volte un po’ le iniziava a mancare…” “Arrivo mamma! Io zia devo andare…” disse Nicola “Ok, tranquillo tanto ormai è finita la storia” “Per me comunque è tutta inventata dai… Ciao a domani”

“… a Cristina mancavano gli amici, le mancava persino il gomito del compagno di banco, rimpiangeva tutte le volte che li aveva evitati per preferire film e partite, le dispiaceva non averli abbracciati più spesso, la faceva soffrire non essere uscita abbastanza, non aver vissuto la vita vera abbastanza…” “A me zia le fiabe piacciono molto, ma ora devo andare anche io! Domani te ne inventi un’altra!?” disse Maria, salutando con la mano. “Sì… domani un’altra zia, ma con un po’ più di fantasia che faccia sembrare le cose più vere! Secondo me ti sei impegnata poco… addirittura la strega dei colori e le sale con divanetti e schermi giganti e quel tizio Co e qualcosa… via siamo bambini ma non siamo mica scemi! Buonanotte a tutti!”

“A domani…” la zia spense il pc con l’amaro in bocca… non aveva nemmeno finito di raccontare la storia, voleva parlargli di speranza e della possibilità che ci potesse essere un futuro migliore, ma loro, senza neanche un minimo dubbio, avevano stabilito che tutto fosse stato inventato e che non ci fosse niente di davvero importante da ascoltare…

FINE

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